95E quando il gozzo già pieno ribocca,
E dal cervello fervido le idee
Impazïenti sbucano scoppiando,
Udresti come con facondo labbro
Degli affamati Lazzari ragioni 100Il pasciuto Epulone; e come i fati
Dell’improvvida plebe accusi e danni:
E ben le sta, gridando, altro compenso
Fuor che i ceppi non trovi e la mannaia.
Oh ben si attaglia all’animal coperto 105Del vello d’oro il sermonare onesto
Fra il vampo de’ bicchieri, o delle molli
Tiepide piume accovacciato in grembo!
Il popolo è una belva, che si doma
Col ferro, colle verghe e col digiuno, 110I consorti rispondono; ma bada,
Che a disperate imprese ancor trascina
Spesso la fame. — Un obolo gli getto,
Quando stringe il bisogno e la paura;
E in pace vada. — L’obolo fomenta. 115Ma non estingue la malnata sete;
Risponde un terzo fra cotanto senno.
Che farem dunque? Omai troppo ne grava
Chi gli stringe la corda attorno al collo,
Ma peggio fia se giù dagli occhi il velo 120Gli cada, e guardi e sogghignando passi. —
Freme a quei detti un ospite novello,
E imprende a favellare: Un gregge turpe
Spesso è la plebe, il so; ma chi l’aiuta
A sciogliersi del fango, onde s’impaccia 125Più d’un cui ride la fortuna amica?
E per colpa maggior, poichè si ammanta
Di più splendido drappo, è fatto segno
A minor biasmo, che scherzando vola?