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196 sermone ventesimoquarto.

     95E quando il gozzo già pieno ribocca,
     E dal cervello fervido le idee
     Impazïenti sbucano scoppiando,
     Udresti come con facondo labbro
     Degli affamati Lazzari ragioni
     100Il pasciuto Epulone; e come i fati
     Dell’improvvida plebe accusi e danni:
     E ben le sta, gridando, altro compenso
     Fuor che i ceppi non trovi e la mannaia.
     Oh ben si attaglia all’animal coperto
     105Del vello d’oro il sermonare onesto
     Fra il vampo de’ bicchieri, o delle molli
     Tiepide piume accovacciato in grembo!
Il popolo è una belva, che si doma
     Col ferro, colle verghe e col digiuno,
     110I consorti rispondono; ma bada,
     Che a disperate imprese ancor trascina
     Spesso la fame. — Un obolo gli getto,
     Quando stringe il bisogno e la paura;
     E in pace vada. — L’obolo fomenta.
     115Ma non estingue la malnata sete;
     Risponde un terzo fra cotanto senno.
     Che farem dunque? Omai troppo ne grava
     Chi gli stringe la corda attorno al collo,
     Ma peggio fia se giù dagli occhi il velo
     120Gli cada, e guardi e sogghignando passi. —
Freme a quei detti un ospite novello,
     E imprende a favellare: Un gregge turpe
     Spesso è la plebe, il so; ma chi l’aiuta
     A sciogliersi del fango, onde s’impaccia
     125Più d’un cui ride la fortuna amica?
     E per colpa maggior, poichè si ammanta
     Di più splendido drappo, è fatto segno
     A minor biasmo, che scherzando vola?