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SERMONE VENTESIMOPRIMO.
LA CARITÀ EDUCATRICE.
Finchè alla plebe misera, che langue
E piange e freme, e dall’error sospinta
Va brancolando per la notte oscura
Che le cresce d’intorno, un tozzo io getto
5Di amaro pane, nè di lei pietade
Altra mi vince; io dell’ingrata plebe,
Invida e bieca e alle mal’opre vôlta
A che mi lagno? Di pallor le gote
A che mi tingo, e un brivido per l’ossa
10Tutte mi corre, se del lezzo impuro
In cui s’adagia con ferina usanza,
Vedo fuori sbucar quasi un armento,
Che intorno propagandosi, di nove
Belve selvagge, indomite e proterve
15Popolando la terra, a’ danni nostri
Con rabbia irresistibile prorompa?
Forse i padri peccâr; ma se ne’ figli
Ancor l’ignavia e la baldanza dura
E il gelido sospetto, e ciechi e stolti
20Non pensan qual della semenza ria,
Sparsa per lunga e tenebrosa etade,
Frutto si colga di malvagia pianta;
Nè curano fidar con mano industre
E amoroso pensiero eletti semi
25A vergine terreno, onde felici
Sorgan rampolli ed arbori fecondi;