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174 | sermone ventesimo. |
95Fra loro un arid’osso, a cui s’avventa
L’uno e poi l’altro furïoso; e l’uno
Lo strappa all’altro, che digrigna i denti,
I peli arruffa, e ringhia, e assanna rabido
Ora l’un capo della magra preda,
100Ora del prevalente emulo il dorso;
E dopo lunga pugna, sollevato
Di polve un nembo e il suol di sangue intriso,
Lascian digiuni laceri anelanti,
Schiuma grondando dalla bocca e fuoco
105Dai torvi occhi spirando, il fiero campo
E l’arid’osso e la deserta arena.
Veglia e fatica col pensiero e l’opra:
E il senno e la quïete a veglie nove
Ed a nove fatiche le prostrate
110Forze richiami. Se l’invidia bieca
Ti guarda, non curar, ma il corso affretta;
Nè lei mirando perderai l’istante,
Che invan più tardi piangeresti. Ingrata
Di villane repulse e di bugiarde
115Blandizie e di volpine arti farai
Diuturna esperienza. Il capo scoti;
E se la lingua snodi, un dardo scocchi
Che le proterve fronti agghiacci e passi.
Di ogni opra al fin, rispetto ad essa, attendi;
120E più rispetto al fin cui l’opre tutte
Si convergon con noi, come ne détta
II decreto immutabile d’Iddio.
Te medesmo conosci, e reggi e vinci;
Degna vittoria, e reggimento certo,
125È rara conoscenza, a cui di mille
Alteri vanti non s’agguaglia il pregio.