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SERMONE VENTESIMO.
IL RICORDO.
Due doti sono, che di rado unite
Vanno nel mondo, il palpito soave
Del core e della mente il guardo acuto;
Ma che disgiunte fan contraria prova
5Spesso all’indole loro, onde si piange
La speranza che tronca in erba more.
Dell’intelletto se la vista è corta
Inferma o losca, un languido barlume,
Un infido bagliore, una confusa
10E stravolta d’immagini congerie
Gli balena dinanzi, e in cento parti
Repugnanti dal ver si trasfigura.
La mobil fantasia, cui scalda l’ali
Il mal temprato affetto, incauta spinge
15Ad abbracciare come cosa viva
Di leggiadro vapor nube vestita;
Mentre del raggio fervido, che scocca
Direttamente, dal fulgore offesa
Giace la pigra e timida pupilla.
20Ma se l’ingegno di superna vampa
Splenda, e nel petto alla gentil pietade
Chiuso si taccia il battito secreto;
Oh quali versa d’infeconda luce
Sull’arida, deserta e morta arena
25Inutili torrenti, e qual sinistro
Lampo dardeggia a suscitar dal fondo