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154 sermone decimosesto.

     Guise dell’arti la gentil dovizia,
     Degli uomini sostegno ed ornamento.
     Lo scarso pane allor forse più grave
     Renderà il desco delle accolte turbe,
     90Cui del bisogno il pungolo vivace,
     De’ lor cari l’affetto, e la speranza
     Eguale all’opra il molle ozio non turbi?
     Oh! di qual nebbia l’età nova ingombra
     Le menti, dotta in fabbricar romanzi
     95Più che sistemi, e i cardini del mondo
     A minacciar, più che l’afflitte genti
     A ricomporre con giustizia e fede.
     Odio e livore seminasti, e côgli
     Infamia e pianto, e per tuo mal disciolto
     100Il freno al lusingar baldo e fallace
     Colla mentita libertà ne adegui
     A servaggio comun. Ma il duro tema
     Omai si lasci, e al primo segno miri
     Dirittamente del mio verso il dardo.
105Quale nocchier, che male esperto avvisi
     Uno scoglio evitare e in altro offenda,
     È l’uomo che del ben dello intelletto
     Usar non sappia o ad abusar declini.
     O sia che al saggio antivedere il varco
     110Ignoranza gli chiuda, o sia che vinto
     Dalla cieca libidine si prostri
     Ove del vero lume il raggio è muto.
     Tal di una razza immemore tu vedi
     Il propagarsi con veloce vena,
     115Che ai dissipati rivoli pur manca
     Il dono di perenni e limpid’acque,
     O ben disposto letto in cui si accolga
     O s’indirizzi il fecondato corso.
     Oh! quale di pietà senso m’accora