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110 sermone decimoprimo.

     Lieti saranno. Ognun rechi una pietra
     All’edificio, che di grado in grado
     S’innalza, e scritto nella fronte porta
     Con note incancellabili la nostra
     180Veridica sentenza. All’opra, all’opra.
Ma tu le pietre scássini, ed in polve
     Con baccante tripudio le converti;
     Poscia al vento la polvere disperdi,
     Novo di civiltà mastro alle genti.
     185Tu dell’avaro stupido, che cela
     L’infecondo tesoro, a cui l’erede
     Impazïente nel suo cor sorride,
     L’insania vinci; e alla sua breve offesa
     Eterni danni aggiungi, e col malnato
     190Istinto distruttore eguagli il bruto.
     Mentre l’accorto e vigile massaio
     Non solo, all’avvenir pensando, imita
     L’esempio della provvida formica;
     Ma i cumulati semi alle domate
     195Glebe confida, e cinque volte e cinque
     Moltiplicando il frutto ne raccoglie,
     E ne dispensa con perpetua vece.
     Di ricchezze, di lucri, e di salari
     Per lui dischiusa è una perenne vena
     200A conforto comune; e per te sbocca
     A larghi sprazzi un’onda romorosa,
     Che poche zolle bagna e si dilegua.
Col lungo argomentar motto non feci
     Del multiforme lusso, e pur disciolto
     205D’ogni contesa omai sembrami il nodo.
     Il rabido censor, che ringhia e latra,
     Gli usi condanna alla stagione antica
     Ignoti. Lascio i delicati arnesi,
     Le poderosa macchine, i sublimi