Ch’unica scola ed unico rifugio 300S’apre alla turba nell’immondo speco,
In cui beve de’ mali e di se stessa
Un disperato obblio. L’incauto padre,
Che nel futuro col pensier non legge,
Alla cieca fidanza abbandonato 305Crede, se creder può, ch’alla infelice
Crescente prole alla ventura nata
Basti un giorno gridar: ecco due braccia;
Perchè il lavoro e la mercè non manchi.
Tocco un’ingrata corda, e pur sostengo, 310Che l’addensato popolo novello
Non è di gloria e di potenza indizio,
Finchè prostrato, livido e sparuto,
Ignaro e fiacco e delle oneste e belle
Usanze confortevoli diviso, 315Miseramente vegetando viva.
Ma l’uomo del suo mal fabbro è a se stesso,
Ancora io dissi; e dall’abbietta razza,
Là travolta nel fango, a più gentile
Schiera si volge l’umile sermone. 320Voi, che trattate con perita mano
I fabbrili strumenti, e degno avete
Premio dell’arte e dell’ingegno, ai tardi
Giorni pensate della vecchia etade
Or che la bella gioventù vi arride. 325Gli accumulati avanzi a voi tien pegno,
E a’ figli vostri, di speranze care,
Onde s’allegri la vita serena.
Come l’acqua che a goccia a goccia cade,
Tacita e lenta fende il duro sasso; 330Così i minuti e spessi oboli, ad ora
Ad ora in vane e frivole e soverchie
Spese gittati, fanno a poco a poco