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il salario. 101

     Ch’unica scola ed unico rifugio
     300S’apre alla turba nell’immondo speco,
     In cui beve de’ mali e di se stessa
     Un disperato obblio. L’incauto padre,
     Che nel futuro col pensier non legge,
     Alla cieca fidanza abbandonato
     305Crede, se creder può, ch’alla infelice
     Crescente prole alla ventura nata
     Basti un giorno gridar: ecco due braccia;
     Perchè il lavoro e la mercè non manchi.
     Tocco un’ingrata corda, e pur sostengo,
     310Che l’addensato popolo novello
     Non è di gloria e di potenza indizio,
     Finchè prostrato, livido e sparuto,
     Ignaro e fiacco e delle oneste e belle
     Usanze confortevoli diviso,
     315Miseramente vegetando viva.
Ma l’uomo del suo mal fabbro è a se stesso,
     Ancora io dissi; e dall’abbietta razza,
     Là travolta nel fango, a più gentile
     Schiera si volge l’umile sermone.
     320Voi, che trattate con perita mano
     I fabbrili strumenti, e degno avete
     Premio dell’arte e dell’ingegno, ai tardi
     Giorni pensate della vecchia etade
     Or che la bella gioventù vi arride.
     325Gli accumulati avanzi a voi tien pegno,
     E a’ figli vostri, di speranze care,
     Onde s’allegri la vita serena.
     Come l’acqua che a goccia a goccia cade,
     Tacita e lenta fende il duro sasso;
     330Così i minuti e spessi oboli, ad ora
     Ad ora in vane e frivole e soverchie
     Spese gittati, fanno a poco a poco