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i. la vita 765


Dopo essere stato membro della balìa formata subito dopo i fatti del 1392, anziano per il bimestre settembre-ottobre dello stesso anno e poi per il bimestre marzo-aprile 1396, il Sercambi viene infine eletto alla suprema magistratura dello stato, quella cioè del Gonfaloniere di Giustizia, il 23 agosto del 1397, per il bimestre successivo; ufficio che egli ricoprirà ancora una volta, in sostituzione di Stefano di Poggio, nel 1400, all’epoca cioè in cui il suo aiuto diventa indispensabile perché Paolo Guinigi possa strappare al popolo lucchese i pieni poteri.

Naturalmente, in questo schizzo biografico non si è tenuto conto che delle tappe più importanti della carriera politica del Sercambi, avendo evitato di menzionare gli uffici ed incarichi minori come pure le missioni diplomatiche di minore importanza che gli venneto affidate. L’esperienza accumulata in questi anni fu condensata nella Nota ai Guinigi, di cui parleremo fra poco, e nella Nota a Lucca, inserita nella prima parte delle Croniche1. Dalla lettura di questi due documenti si nota come non vi fosse problema importante per la vita della Repubblica del quale il Sercambi non avesse diretta conoscenza ed al quale egli non avesse cercato una soluzione. Quei due documenti provano chiaramente che il Sercambi aveva avuto modo di formarsi delle idee precise sul modo di reggere la Repubblica e di preservarne l’indipendenza. È bene dunque notare che sul piano della prassi politica tornava più utile ai Guinigi potersi avvalere di un uomo di tale esperienza, che viceversa.

Non fa perciò meraviglia se, non appena se ne presenta l’occasione, il Sercambi, da attore, anche se importante quale era stato, divenga protagonista della storia di Lucca.

Si è detto già che negli ultimi anni del xiv secolo le redini del potere erano state raccolte nelle mani di Lazzaro Guinigi, capo riconosciuto e rispettato della famiglia, che governava con polso fermo ed un certo acume politico e diplomatico. Ma il 15 febbraio 1400 egli cadeva sotto il pugnale del proprio fratello Antonio e del cognato Nicolao Sbarra, per motivi che riescono poco chiari2.

  1. Ibid., ii, 117-54.
  2. Pare che Lazzaro avesse rifiutato ad Antonio l’ultima e ricca discendente di Castruccio, Caterina Antelminelli, di cui il giovane era innamorato, destinandola invece al fratello minore Paolo. Per i particolari di questo episodio, oscuro tuttavia, si veda l’op. cit. del Mazzarosa, i, pp. 249-50, e C. Minutoli, Alcune novelle cit., pp. xv-xvi. Il S., che dedica al tragico avvenimento molte pagine, più per divagare sulla personalità e sul destino di Lazzaro che per registrare i fatti, tace i moventi del delitto, indicandone il vero responsabile nel «nimicho dell’humana natura», il quale «di continuo è stato e sera chagione di far peccare l’humana natura» (cfr. Cron., ii, 405 sgg.).