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novella viiii 55

mia fé, io hoe giaciuto stanotte con una contessa in uno castello et hoe avuto di lei mio talento et ella di me, e tutti li miei denari li ho dati e non veggo modo che io possa a Bologna ritornare». Lo conte disse: «Tanto quanto dura lo mio terreno ti darò denari e dapoi ne procaccerai altró’». E aperse la borsa e dielli un franco. E partitosi, il conte tornò a casa dicendo: «Un giovano nomato < . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ». La donna> disse al conte: «Poi che voi dite lui avere moscato, piacciavi almeno per fiorini 300 e da lui comprarmene, che sapete quanto tempo me n’avete udito chiedere». Lo conte, desideroso di saziare la volontà della donna, subito prese i fiorini 300 e trovò il giovano chiedendoli il moscato. Ugolino, che denari non avea, disse: «Messer, serà fatto». E preso la quarta parte del moscato e datolo al conte, lo conte portatolo alla contessa disse: «Donna, il moscato che hai desiderato lungo tempo ora hai auto; quanto a me, pare che la mercantia di che hai li fiorini 300 guadagnati olizava come fa questo moscato che hai comperato!» La donna, pensando che ’l conte se ne fusse acorto, a niente rispuose.

Ugolino, tornato con quelli 300 fiorini e col moscato comprato, giunse a Bologna, al suo maestro Felice dandoli li fiorini che avanzati li erano, dicendo che veramente innella parte d’oltramonti si fa grandi guadagni, mostrando il baratto fatto del moscato, afermando che molto s’era guardato di barattare a cosa putente. Felice disse: «U’ è questo moscato?» E come intendente delle mercantie cognove che quello era sterco di cane, afermandoli che lui avea passato il suo comandamento. E così protestandoli volse che Ugolino rifacesse l’amenda de’ veli e delli zendadi. E così fece.

Ex.º viiii.