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CXIII


L>a piacevole novella ditta rallegrò molto la brigata, pensando sopra trovare giudici che con ragione e discrezione le sentenzie diano. E con tale ragionamento giunseno a Ravenna, dove cenaron, con canti in questo modo:

«Perché du’ <più> ch’un serveno a una
femmina, ragione
non vuol ch’alcun faccia contenta alcuna.
E vedi come questa è la cagione:
no’ veggiam ch’una arà un giovan bello
al piacer suo e terràlo in prigione;
e nondimeno un sozzo e un vecchiarello
s’adopera, per dire: — I’ ho questo e quello — .
E per più operazione
anzi ch’un due a sé ne vuol ciascuna».

Ditta, a dormir n’andarono.

La mattina levati, il proposto comandò che l’altore una novella dica fine che giunti seranno a Furlì. Il quale, rivoltosi alla brigata, disse: «A voi, omini avari, i quali, non acorgendovi, alle volte con uno onesto modo v’è tratto delle mani quello che più caro tenete. Ad exemplo dirò una novella fine ch’a Furlì seremo giunti; in questo modo, cioè: