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novella lxxxiii 563

che mostra a sé con dispregiare amore;
e per più suo dolore
non vuol che viva ma languendo mora,
acciò che vuol di sé udir lo stento,
tanto che giunga spento
d’ogni virtù della sua morte <a> l’ora.
Merzé non sa per sé chi ’mpetri in cielo
chi del tutto di sé fatto <è> ribello».

Dicendo: «Poi che in Salerno dobiamo andare, dove sono belle donne ma sono servigiali, io dirò:

DE CRUDELITATE MAXIMA

Come messer Stanghelino da Palò amazzò la moglie et un giovano che li trovò insieme in letto, e iiii figliuoli.

Innel tempo che messer Bernabò signoregiava gran parte della Lumbardia era uno cavalieri suo cortigiano nomato messer Stanghelino da Palò, il quale avendo d’una sua donna dal Fiesco nomata Elena iiii figliuoli, ii maschi e ii temine, il magiore de’ quali era d’età di anni sette; e stando il ditto messer Stanghelino con gran piacere colla ditta monna Elena, tenendosene contento quanto neuno altro gentiluomo di Lumbardia, amando questa sua donna sopra tutte le cose del mondo.

E come sempre la femina s’aprende al contrario, non potendo sostenere il bene che la ditta monna Elina avea, con atto di lusuria si diè ad amare uno giovano della terra sottoposto al ditto messer Stanghelino, intanto che non passando <molto tempo> la ditta monna Elena il suo apetito con quel giovano fornìo. E dimorando per tal maniera la ditta donna, non pensando <ciò che> per tal cagione ne dovea seguire (né anco non pensava che ’l marito di ciò acorger si dovesse), di continuo quel giovano si tenea.

Essendo alquanti mesi che messer Stanghelino non era innelle suoi parti stato, venendo a casa dove la donna sua trovar credea