Pagina:Sercambi, Giovanni – Novelle, Vol. I, 1972 – BEIC 1924037.djvu/319


novella lxxii 319

verità disse: «Dato m’ha per contra colle miei medesme pietre!» E steo a vedere.

E voltosi Dante al secondo buffone, disse: «Ogni signoria, quantunque si sia di stato grande come serè’ lo re Uberto, si pretendono essere vuova dell’aquila, cioè che ogni signore dé esser sottoposto allo ’mperio». Lo re Uberto, che era guelfissimo, udendo il ditto di Dante, stimò per lui tal cosa aver data.

Ditto Dante le du’ particelle, disse al terzo: «Lo tondo ragionevolmente non dé ad alcuna parte pendere, in tutte le suoi parti è uguale, e quella cosa che dal tondo si trasforma si può dire adultera. E pertanto dico che quella corte dove sono adulteri, cioè disformanti dal tondo cioè dalla signoria, si può dire sterco quadro, e per consequenza chi quelli notrica si può riputare acino e non signore». Lo re, comprendendo le parole, stimò Dante savio, ché dello ’nganno s’era aveduto.

Rivoltatosi dapoi Dante al quarto buffone dicendo: «Tu m’hai domandate dell’alte cose: a queste ti rispondo che tu non hai capacità di poter intendere quello domandi. Ma chi si crede aver capacità et ha desiderio <di intendere> le oculte cose, non ariverà mai a vera cognizione se l’usanza sua serà con simili di voi»; lo re Uberto, che avea desiderio di sempre sapere, udendo le parole di Dante stimò per lui esser ditto.

Lo quinto buffone stava col piede alto innanti per volere intendere la solvigione della sua domanda. Dante li disse: «Io t’insegnerò tenere il modo che ’l paradiso e lo ’nferno acquistar puoi: tenendo tu il capo in Roma e ’l culo in Napoli» (quasi a dire: in Roma sono tutte cose sante, in Napoli tutte donne e omini dati a concupiscenzia di lussuria). E per questo modo lo re comprese che in Napoli non era alcuna donna né uomo del vizio di lussuria netto.

E per volere Dante a tutti dare la sua asolvigione, si rivolse a l’ultimo buffone, dicendoli: «Se Dante trovasse tanti matti quanti trovate voi, elli sarè’ meglio vestito che voi, però che naturalmente il senno dé esser più pregiato da’ matti che’ buffoni». Lo re, avendolo udito, disse a Dante: «Donqua siamo, noi che tegnamo i buffoni, matti?» Dante rispuose: «Se amate virtù