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LXV


U>dita la bella novella, il preposto comandò che a cantar le donzelle e’ cantarelli cominciassero. Loro presti dissero:

«L’un biasma l’altro e nessun sé riprende,
vegendo per altrui nell’uovo il pelo
tal c’ha di sé innanti a li occhi il velo.
Lode de’ rio altrui non danno fama
perch’e’ non sa dir bene; e ’l suo dispregio
nel petto al buono è giudicato fregio.
Non dura infamia né ingiusta loda,
perché ’l ver luce e ’l falso ha giusta coda».

E ditta, del prato si mossero però ch’era l’ora della cena; e così fu obedito e di buone vivande cenaro dove ne trovonno in abondanzia, tenendo i modi usati fine all’ora del dormire. Allora il preposto volto a l’altore disse che per lo di seguente ordinasse bella novella fine a L’Aquila. L’altore, aparecchiato a ubidire, steo fine alla mattina quando la brigata fu levata.

Udita la messa, l’altore si volse alla brigata parlando:


DE DISHONESTATE VIRI

De lo figliuolo dello imperadore di Costantinopoli: capitato
a Genoa, mal compunto se n’andò a casa.


L>ungo tempo fu che lo ’mperadore di Gostantinopoli nomato Cesari Ardito avendo uno suo figliuolo nomato Ottaviano già