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novella lii 235

bellezza a cena et anco ad albergo. Coloro disseno: «Noi siamo <contente>».

E restate, frate Calandrino afretta che la cena fusse aparecchiata. Et aparecchiata la cena, cenarono. E poi lo benedetto frate, ricordandosi di san Grigorio che tra du’ giacea, disse a Narda: «Io come spirituale persona vo’ stasera costoro meco inne’ letto dormano, per ii rispetti: l’uno si è perch’è limosina d’albergare il povero, e costoro son povere, che non hanno casa; l’altra, per carità, ch’è bene, se io potesse convertirle, a usare di questa misericordia». Narda disse: «Ben fate, ma credo che pogo vi ubidiranno». Lo frate disse: «Io farò quanto potrò, poi facciano quello vogliano». E menòle in camera: e lui entrato innel letto, nel mezzo si puose avendone ii d’intorno.

Narda ostessa, che ha veduto il frate con quanta carità ha coloro ricevute et udito per che cagione l’ha seco innel letto messe, parendoli meraviglia disse: «Per certo io saprò l’opere di costui». E perché il suo letto era solo d’una taula diviso dal suo, stando in niscolto udiva tutto. E come posta si fu a udire, disse il frate a quella più di tempo: «Io vo’ sapere come hai imparato l’arte che meni tanto tempo: quanto innel luogo comune se’ stata?» Ella disse: «Provate, frate, e vedrete se io hoe perduto il tempo mio». Frate Calandrino montò a bestia e di buona soma la caricò perch’era grasso. E disposto la soma, disse: «Per certo tu hai bene speso il tempo tuo, però che ben sai l’arte che più di c tuoi pari che provate ho». E voltosi alla più giovana, disse: «A te non si richiede saper tanto quanto a questa ch’è più di tempo di te». Lei rispuose: «Frate, alcuna volta le giovane sanno di questo fatto meglio che le vecchie». Frate Calandrino disse: «Ben vo’ provare». E saglitogli in sul corpo e la bestia menando talora con mano e talora col piè, giunse al suo disiato luogo. Lo frate disse: «Io per me non saprei dicernere qual di voi fusse meglio amaestrata, di vero ciascuna è buona e perfetta. Omai diamo a dormire, e prima che di qui ci partiamo, determineremo un’altra volta la quistione».

Narda, che udiva, talora isbavigliando udendo e sentendo quello che ’l frate con quelle du’ faceano, sentendo dover dormire,