Pagina:Sercambi, Giovanni – Novelle, Vol. I, 1972 – BEIC 1924037.djvu/21


novella iii 21

smarirei con costoro se io non mi segno di qualche segno». E pensò mettersi in sulla spalla ritta una croce di paglia, dicendo: «Mentre che io arò tal croce in sulla spalla io serò desso».

E come ordinò misse in effetto, che la mattina rivegnente il ditto Ganfo, nudo colla croce in sulla spalla ritta, entròe innel bagno. E quine stando, guardandosi la spalla e veduta la croce, dicea: «Ben sono esso». Dimorando alquanto e facendoli alle spalle freddo e <innell’> acqua gallegiava, tirandosi abasso, la croce della spalla se li levò e a uno fiorentino, che a lato a lui era presso, la ditta croce in sulla spalla li puose. Ganfo, guardando sé e non vedendo la croce, voltandosi la vidde a quel fiorentino. Subbito trasse a lui dicendo: «Tu se’ io et io son tu». Il fiorentino, non sapendo quello volesse dire, disse: «Và via!» Ganfo replicando disse: «Tu se’ io et io son tu». Lo fiorentino, parendoli costui fusse mentagatto, disse: «Và via, tu se’ morto!» Ganfo, come ode dire tu se’ morto, subito uscìo del bagno e missesi i panni. Senza parlare né mangiare né bere si misse a caminare venendo verso Lucca, e quantunqua ne scontrava che lui salutasseno a neuno rispondea.

Venuto a Lucca e giunto alla sua casa, mona Tedora vedendolo disse: «Ganfo, o tu se’ sí tosto tornato?» Ganfo udendola disse: «Tedora dolce, io sono morto». E gittatosi in sul letto senza aprire occhi né altro sentimento fare, dimostrando esser morto — ché pogo spirito avea si per la malatia avuta sí per lo caminare senza aver mangiato né beuto sí per la paura — , la donna giudicò esser morto. E subito gridando, scapigliandosi, dicendo Ganfo suo marito esser morto, li vicini tragano a confortare la sconsolata di sí buono marito, dando consiglio che Ganfo sia sopellito; e cosìe si misse in ordine. Venuta la bara e quine messo Ganfo, lui stando cheto e come morto si lassa menare.

La chiericia raunata e venuta colla croce a casa e ricevuta la cera, andando con Ganfo alla chiesa per quello sopellire, e mentre che Ganfo era cosí portato, una fantesca nomata Vettessa domandando quello era, fulli ditto che Ganfo era morto. Come Vettessa questo udìo incominciò a gridare e dire: «Maladetta sia l’anima di Ganfo, che in quel maladetto punto li diedi un mio piliccione a raconciare che mai non lo potei avere». E questo dicea spesso.