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88 la grande giornata.

vatezza e per la sua fortuna, anche gli avversari lo rispettavano. Riccardo era innamorato di quel giornale, e quasi lo imparava a memoria ogni sera: e gli sembrava una costruzione alta, solida, fortissima, inaccessibile. Nei suoi deliri di ambizione giornalistica, collaborarvi sarebbe stato per lui la felicità suprema. Ne parlava con emozione, sottovoce, come di una persona adorata: e quanto vi si scriveva, gli sembrava giusto, onesto e grande. Talvolta, nelle due ore di libertà, dopo il mezzogiorno, andava a passeggiare in Piazza di Montecitorio, sogguardando la porticina miracolosa: e tutti quelli che vi accedevano, gli sembravano persone privilegiate, felici. Due volte aveva avuto il coraggio di salire anche lui, a chiedere dei numeri arretrati, ed era restato in anticamera, commosso, fra quegli armadi a caselle, accanto al tavolone coperto di fasce, non osando guardare attraverso i cristalli ovali delle porte imbottite di lana verde: se ne era andato via, malinconico come un esiliato. A furia di passeggiare in Piazza di Montecitorio, aveva imparato a riconoscere il direttore, un piccoletto, dalla barba bionda e dagli occhiali d’oro: accanto a lui andava spesso un ometto rotondo, dal mustacchio nero e dagli occhi vivissimi — ma costui Riccardo non sapea bene chi fosse,