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la grande giornata. 85


E con la freddezza di chi prende la mesata ai ventisette del mese, e quella sola cosa desidera e ama e possiede, qualche suo collega gli soggiungeva:

“Ma perchè ti riscaldi? Che t’importano queste cose? Sei un deputato, forse, o un giornalista?”

“È vero,” rispondeva lui, quietandosi subito.

Giacchè più i giorni passavano e più si facea profondo il dissidio fra la realtà e i suoi sogni. Tutte quelle cose che diceva, che pensava, tutte quelle esercitazioni brillanti della mente non servivano a nulla. Quando rientrava a casa, sentiva tutta la miseria della sua esistenza ripiombargli sulle spalle; la sua meschinità, la sua grettezza lo umiliavano. Che era lui? La mattina un umile impiegato ignoto: la sera un vano chiacchierone da caffè. Chi lo conosceva? Tre o quattro imbecilli, al mattino: sette od otto inebetiti, la sera. Il suo più caldo ammiratore era quell’impiegato della posta, una buona pecora umile e affettuosa, che gli diceva:

“Tu dovresti esser ministro, Riccardo.”

Più il tempo passava e più si faceva cocente in Riccardo il sentimento della propria nullità. Divorato dal desiderio di elevarsi, il lavoro di ufficio gli pareva vile, lo faceva a