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la grande giornata. 73

i giornali lodarono discretamente la bontà del direttore del Tempo.

Quietamente, nella solitudine di uno spirito privo di amore, nella natural fierezza di un grande dolore, Riccardo si acconciò facilmente alla umile sua carriera di impiegato. Quella morte che gli portava via l’unico essere amante, amato, aveva gettato il suo animo in un torpore: e il meccanico lavoro, dalle nove alle dodici, dalle due alle cinque, gli riempiva il gran vuoto del tempo che sentiva intorno a sè. Abitava presso il ministero, in Via della Panetteria, e pranzava anche lì vicino, al Gabbione, in Via del Lavatore. Guadagnava poco più di cento lire il mese: ma in quei primi tempi della capitale, a Roma, la vita materiale era molto facile. Povero, malinconico e superbo, Riccardo non entrava nei caffè, non andava nè al teatro, nè alle passeggiate pubbliche. Quella monotonia di esistenza, quel senso di completo isolamento, quell’austerità di vita e di sentimenti gli sembravano confacenti alla sventura che aveva sofferta. Con la inclinazione dei cuori giovani, egli esagerava volentieri il suo lutto. Del resto non avea idee, non avea progetti: e il naturale ingegno giovanile giaceva sonnolento, inerte, capace solo di quel metodico lavoro di ufficio. Aveva amici, in uffi-