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la grande giornata. 71

prendendo fiato ogni momento, appoggiando al mucchio dei cuscini una faccia gialla e sudata. Venivano amici, colleghi, buttavano il mozzicone prima di entrare, ridevano un poco, parlavano di teatri e di politica, restavano poco tempo: qualcuno si chinava all’orecchio dell’ammalato, parlandogli affettuosamente, stringendogli misteriosamente la mano; egli accettava sempre, crollando il capo, ora sorridendo con una malinconia straziante, ora con le lagrime che gli gonfiavano gli occhi. Due volte era venuto il direttore, restando cinque minuti, guardando in aria, pronunciando qualche vaga parola di conforto, lasciando sul tavolino, una volta quaranta lire, un’altra volta trenta. Ritto ai piedi del letto, appoggiato ai ferri, taciturno, coi fieri e malinconici occhi abbassati, il giovanetto Riccardo vegliava suo padre. Due giorni prima di morire, Paolo Joanna aveva ancora scritto un capocronaca, con la mano tremante, respirando a ogni parola, col rantolo lugubre dei polmoni sforacchiati dalla tisi. Nel giorno della morte, aveva ancora preso della codeina, l’inganno eterno dei tisici: aveva sonnecchiato — risvegliandosi, con la mano faceva cenno, ripetutamente, perchè gli togliessero d’intorno qualcosa che lo infastidiva. Il figliuolo non intendeva e tastava gli oggetti, interro-