Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/48

38 piccolo.


Sulla porta del suo camerotto, ancora in maniche di camicia, con un mozzicone nero di sigaro spento fra le labbra, Paolo Joanna aspettava. Gli toccava restare in tipografia sino a che la tiratura fosse finita: nel caso che venisse qualche notizia importante da Torino o da Napoli stesso, bisognava inserirla, fare una seconda edizione. Aveva sul volto l’ansietà, l’impazienza di quella ultima ora: era quell’esaltamento finale di un lungo lavoro della mente, quella piccola febbre che soffre il giornalista al termine della sua fatica quotidiana, l’occhio un po’ stralunato, le labbra un po’ secche, le mani un po’ calde, tutti i nervi tesi.

“Riccardo, levati di là,” disse da lontano Paolo.

“Perchè, papà?”

“Perchè ci fa caldo e ti puoi far male.”

“Non fa caldo, papà, e non mi posso far male.”

“Riccardo, non discutere, levati di là.”

Il figliuolo guardò bene il padre e gli scorse la brutta faccia nervosa delle ore cattive: non rispose più nulla e lentamente girò intorno alla grande macchina che egli amava, passò attraverso le casse della composizione e si andò a sedere sopra una panchetta di legno, presso la porta a vetri della tipografia: ivi un po’ di fresco veniva. Poi, attratto dallo spettacolo di