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una catastrofe. 387

mosina; sulla mia morte, all’ospedale, faranno una colonna di elegia. Così finirà.”

Bruciava la carta della stearica, allegramente, con una vampata: poi la fiamma si abbassò, ondulò un poco, si spense. I due restarono all’oscuro.

“Non ho altra candela,” disse con voce fievole Riccardo Joanna.

“Non importa, non importa,” fece l’altro, quasi singhiozzando.

Joanna si alzò e aprì le imposte: un po’ di luce venne dalla strada. Fissandosi bene, nell’ombra, si vedevano. Il vecchio era curvo, disfatto, come crollato: e il giovane non alzava il capo.

“Questa è la catastrofe,” riprese fievolmente Riccardo Joanna, come se si svegliasse dalla febbre. “Non già la bella catastrofe, violenta, grande, una tempesta che tutto abbatte, un buon colpo di spada attraverso il polmone, una buona palla di pistola dentro il cranio, la morte dei forti infelici: la morte che attira l’ammirazione, e dà un’aureola di grandezza. No. La catastrofe piccola, minuta, volgare, quotidiana: oggi se ne va uno scrupolo, domani si abbandona una fierezza, l’altro giorno si sacrifica un sentimento, quest’altro giorno si dice addio a una fede. Il pudore si sgretola, l’amor proprio