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386 una catastrofe.

nale, capite, è un pretesto per non mendicare. O piuttosto, m’inganno: è un pretesto per poter mendicare, senza che le guardie vi arrestino, per improba mendicità.”

“Che dite!”

“Dico questo, giovanotto. Dico che se oggi voi non foste venuto, io non avrei potuto dare cento lire al mio cartaio, ventisei lire alla mia lavandaia. Vi ho fatto impegnare l’orologio, e non vi conoscevo, stamane! Vi ho fatto firmare una obbligazione, per domani: e domani, se non pagate, vi possono citare e trascinarvi in tribunale. Vi ho invitato a pranzo, e ho pagato coi denari del vostro orologio. Oggi vi ho levato tutto: e vi rammentate? Non vi ho ringraziato neppure, tanto mi sembrava naturale il mio accattonaggio e naturale il vostro sacrificio. Domani, quando non avrete più denari, io passerò avanti, poichè voi mi avete già fatto l’elemosina, io cercherò un altro che me la faccia, fino a che non l’abbia trovato! E sarà così ogni giorno! Ogni giorno, così, sino a che io non muoia, di questa malattia di cuore: e se è breve, morirò nella via, o in tipografia, o sulla mia scrivania, con la faccia nel calamaio, con la mano sulla penna: e se è lunga, mi porteranno all’ospedale. Qualche amico verrà; forse faranno una sottoscrizione per me, ancora l’ele-