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384 una catastrofe.

Chissà! Forse nulla. Ed essi ritorneranno, i creditori, domani, puntualmente, speranzosi e quindi più premurosi, delusi e quindi più accaniti, verranno tutti, ne verranno degli altri, a cui è stata passata la voce, sarà una processione. Che dirò loro? Non lo so. Dirò loro di ritornare il giorno seguente. Così, vergognosamente, sino alla morte. Per questa parola domani, io mi sono perduto.”

Tacque. Riandava sul passato.

“Era un gran giornale il Tempo. Ebbe una fortuna insperata, immeritata, forse. Saliva, saliva, che era una vertigine. Perchè? Non era nè più brutto, nè più bello degli altri: ma trovò il suo momento. Io andava, andava, per impulsione magnetica, passando di buona fortuna, in buona fortuna: non avevo scrupoli, non mi importava nulla di quanto non riguardava il giornale, non vedevo se non l’affare da farsi, la vendita che cresceva. Ebbi la fortuna di stare tre anni all’opposizione, fierissimamente: quando il mio partito trionfò, me ne staccai, sentendo che era dannoso appartenere ai trionfatori. Volli essere indipendente. Sapete che significa questo vocabolo? Appartenere a chi meglio vi conviene, per un momento: e poi rompergli fede, e passare all’avversario. Si ha l’aria di esser liberi, di esser giusti: molti vi temono, nessuno