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382 una catastrofe.


Gli tremava la voce: al suo muoversi convulso, la luce della stearica s’inclinava. Egli non vedeva più il suo interlocutore, parlava per sè stesso, per sfogare la sua irrimediabile sciagura.

“Eppure non mi sono ammazzato. Non ho dormito, non ho mangiato, ma non sono morto. La speranza, capite, la speranza che il giornale uscisse l’indomani! Ed è uscito l’indomani. Alla seconda volta io ho sofferto quasi quanto la prima, ma non così acutamente. — I lettori, — pensavo, — crederanno che ci sia stato un guasto nella macchina. — E mi consolavo così, mi consolavo pensando che l’indomani sarebbe uscito. Che volete? Ci s’incallisce anche al dolore! Una volta è stato quattro giorni senza uscire: una cosa inaudita. Io non osavo andare in nessun caffè, in nessuna trattoria, fuggivo amici e nemici, dalla mia stanzetta scrivevo lettere a tutti quelli che potevano aiutarmi, bevevo della birra per istupidirmi. Ora.... mi sono abituato anche a questo. Non lo nego: ho un colpo quando questo giornale non esce, ma non più l’anima mia vibra. E certo, vedete, questa indifferenza, questa rassegnazione sono una vigliaccheria, una vergogna, una dedizione della vecchiaia e dell’impotenza!”

Antonio Amati ascoltava, vibrante di emo-