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28 piccolo.


“Niente.”

“A rivederci, io vado al Consiglio comunale,” disse Dolfin, che non si reggeva a vedere il padre preoccupato e il bimbo triste.

Uscì. Paolo, dopo aver pensato un poco, aveva preso un foglietto e scriveva una lettera. Poche parole: ma ad ognuna di esse si fermava, come pentito, come esitante, come se non trovasse la forma giusta. Stracciò il foglio: ne prese un altro. Riccardo si era seduto, le mani abbandonate, l’occhio spento, come stanco.

“Riccardo?”

“Papà?”

“Senti una cosa.”

Il figliuolo si appressò al padre, che gli carezzò i capelli leggermente.

“Mi vuoi bene?”

“Sì, papà mio.”

“Allora vuoi farmi un piacere?”

“Sì, papà.”

“.... Senti.... senti,” e pareva che inghiottisse difficilmente la saliva, “dovresti andare.... dentro.... dal signor cavaliere....”

“Oh, papà!...”

“.... A portargli questa lettera,” terminò di dire precipitosamente il padre.

Il bimbo tese la manina, ma aveva chinato la piccola testa sul petto.