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piccolo. | 27 |
la domanda: aveva da prestargli venti lire, Alessandro? E lo aveva detto presto presto, con quella timidità e quella soffocazione di voce che hanno le persone veramente bisognose: e giocherellava col bottone quasi strappato della sua spolverina. Dolfin si fece pallido, una viva espressione di dolore gli si dipinse sulla faccia: non aveva che tre lire per pranzare, potevano dividere, egli si sarebbe contentato.
“Non importa, non importa,” disse Paolo, vergognandosi.
“Prendile, Paolo, prendile: almeno per Riccardo.”
“Troverò altrove: lascia fare,” e abbozzò un pallido sorriso di sicurezza.
Rientrarono. Erano smorti ambedue, e si dolevano, l’uno della domanda fatta inutilmente, l’altro della propria impotenza. Il bambino li guardò, uno dopo l’altro, come se volesse leggere nelle loro facce: egli era serio serio, come se avesse indovinato.
“O Riccardo, vuoi arrampicarti ancora?” domandò fiaccamente quel bonaccione di Dolfin, tendendo il piede e il ginocchio destro.
“No,” disse lentamente il bambino, “non ho più voglia.”
“Che hai, piccolino?”