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350 una catastrofe.


“Ebbene, che vuole? Io non li ho più i suoi mobili.”

“È vero, è vero, signor cavaliere, ma la colpa non è di Martelluzzi se le han fatto la vendita. Alla fine sono ottomila lire.... e capirà....”

“Capisco: venite domani.”

Ma l’esattore doveva conoscere il valore di questa promessa, perchè guardò Riccardo Joanna con un’aria di rassegnazione malinconica.

“Domani, dunque,” mormorò.

“Alle tre,” ribattè Joanna imperiosamente.

L’esattore di Martelluzzi lo guardò con un muto e ossequioso rimprovero, come a dire: — Che ti ho fatto, per parlarmi così? — E pian piano, se ne andò, crollando il capo, fidando in questo domani che egli udiva da tre anni, fingendo di fidarsi, non osando, nella sua povertà di servo, mostrare alcun dubbio.

“Ha debiti, lei?” domandò Joanna, per le scale, ad Antonio Amati.

“Io, no,” fece l’altro, come vergognoso.

“Ne farà.... ne farà.... non dubiti che ne farà,” canticchiò Joanna.

Per le scale scendeva un giovanottino piccolino, dal musetto di volpe, vestito leggermente per la stagione, tenendo un mozzicone spento e nero fra le labbra.