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26 piccolo.

spezzava i periodi, ne rifaceva qualcuno; il corrispondente da Torino aveva mandati due telegrammi, di cui uno si fingeva fosse da Parigi; era venuto il fattorino dell’Agenzia Stefani col solito dispaccio; Peppino era capitato di nuovo, con altre bozze; due o tre signori erano passati, si erano ficcati nella stanza del proprietario. Dolfin con le mani in tasca guardava il soffitto, con quella immobilità sorridente del Veneziano immerso nelle sue contemplazioni.

“Sono le quattro e un quarto,” tornò a dire Riccardo.

“Paolo, dammi Riccardo, lo porto a passeggiare.”

“No, no, lascialo stare,” mormorò Paolo, pensoso.

“Che ti fa qui? Te lo riconduco all’ora del pranzo.”

“Lascialo Riccardo: mi serve.”

“Quello si annoia: fallo venire a passeggiare.”

“Ti annoi, Riccardo?”

“No, papà: non mi annoio mai,” rispose il piccolo uomo.

“Senti una parola, Alessandro,” disse Paolo.

E per parlarsi in segreto, i due redattori se ne andarono fuori il balcone. Ivi Paolo fece