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una catastrofe. 343


“Ve ne darò di quattrini.”

“Datemeli adesso: mi contenterò di un cinquemila lire, sulle trenta che mi dovete.”

“Non le ho cinquemila.”

“Duemila, allora.”

“Non le ho.”

“Via, mille, ce le avrete. Avete fatto i rinnovi.”

“Scarsi.”

“Mi contento di cinquecento lire.”

“Se vi dico che non ne ho, Margari.”

“E allora che siete venuto a fare qui?”

“A chiedervi la carta per oggi.”

“Io non ve la do se non veggo i quattrini.”

“Niente.”

“E niente, sor Riccardo.”

Antonio Amati assisteva alla scena, muto, addolorato, non osando intervenire, non osando interrompere, con gli occhi abbassati, un po’ stordito da quel sazievole odore di carta che era nel camerone. Il vecchietto, tutto coperto di risecature di carta, di filucci bianchi di carta, prendeva tabacco da una piccolissima tabacchiera rotonda e aspettava pazientemente, come se da un momento all’altro gli dovessero capitare le sue trentamila lire. Era un ometto piccino e bonario, tutto roseo, malgrado quell’aria affogante di carta che si respirava lì dentro. A