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una catastrofe. 341


“E può esser tranquillo così?”

“Sulle prime non si è tranquilli; poi.... ci si abitua. Ha finito il suo articolo?”

“L’ho finito: ma è certamente bruttissimo.”

“Non importa,” rispose distrattamente Riccardo Joanna.

E si mise a rivederlo, minutamente, con l’abitudine del vecchio giornalista. Antonio Amati guardava Riccardo Joanna, il gran giudice inappellabile e tremava in sè. Ma Riccardo Joanna non disse nulla: e nulla osò domandare Antonio Amati. Agabito si presentò al suono rauco del timbro rotto: Joanna gli consegnò il manoscritto:

“Va’ in tipografia, Agabito. Il sor Rinaldo è venuto?”

“Sissignore: è andato subito a far colazione. Scriverà in tipografia.”

“Se viene il cronista, lo manderai in tipografia anche lui.”

“È venuto: ha chiesto dell’amministratore.”

“È ammalato. Andiamo, signor Amati, qui non vi è più nulla da fare.”

E se ne andarono di nuovo in Galleria, a ciondolare, chiacchierando un po’ qui, un po’ lì. Riccardo Joanna presentava a tutti Antonio Amati come un nuovo suo redattore: anzi lo presentò a due o tre celebrità, di musica e di