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una catastrofe. 331


“A quello niente gli dà fastidio,” susurrò Agabito, indicando la stanza di Riccardo Joanna.

“Omo grande, eh?” disse Amati, con ammirazione.

“Grande,” fece laconicamente il servo.

Ma il suono rauco del timbro, quel singhiozzo sbagliato fece andare Agabito di là, dal direttore. Quando uscì crollava il capo, con quel suo fare fra distratto e annoiato: e nell’anticamera, da certe scansie a casella, da certe canestre si pose a cavare dei giornali, a fasci, e a buttarli in mezzo alla camera, confusamente: se ne formò una montagnola. Antonio Amati, che andava e veniva, nel fervore della ispirazione che lo aveva fatto alzare dal tavolino, arrivò in anticamera.

“Sono giornali che vanno agli abbonati, questi?” domandò.

“Vanno tutti al nostro migliore abbonato,” disse Agabito filosoficamente.

“E chi è?”

“Il pizzicagnolo.”

“Giornali vecchi,” fece con disinvoltura, per parere informato, Antonio Amati, “quanto al chilo?”

“Cinque soldi.”

“Bene, bene!”

E ritornò al suo articolo. Mentre scriveva,