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270 il quarto d’ora di rabelais.

larga base parlamentare, sopra un solido fondamento finanziario. Ora abbandonate questo figliuolo, nato prima del tempo, e non vitale: siate spartano, uccidetelo, non vi fate uccidere da lui.”

“Vi ringrazio assai delle buone parole,” disse Joanna, “ma non deve morire nè il padre nè il figlio.”

Il deputato lo guardò, stupito.

“Io parto domattina per l’Alta Italia, vado a Milano, Torino, Venezia, a cercare i fondi necessari a tirare innanzi, finchè il momento buono non sia venuto, e il giornale possa continuare da sè.”

“Buona fortuna,” disse Sinibaldi, non sapendo che pensare, addolorato davanti a quella frenesia persistente; e s’allontanò.

Ma Joanna cominciava ad essere stanco. Quella opposizione muta alla sua volontà lo irritava. Egli voleva morire, e tutti lo volevano tenere incatenato alla vita. Egli si voleva buttare nel gran mare del nulla, e tutti, tacitamente, senza dirgli nulla per dissuaderlo, con la sola forza della loro volontà, col solo influsso magnetico dell’amicizia, o della ripugnanza della morte, lo trattenevano alla riva. Per reazione, il fantasma della morte non lo tormentava più: ci si era assuefatto, lo vedeva in sè,