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18 piccolo.

mibuia, dove stava l’altro suo amico, Francesco. Era un giovanotto alto e forte, che prima aveva fatto il mestiere del fabbro nell’arsenale di Napoli e guadagnava tre franchi al giorno, essendo bravo: ma un giorno, battendo col martello sul ferro incandescente, una scintilla gli era schizzata in un occhio e gli aveva bruciata la cornea: lo avevano tenuto cinque mesi all’ospedale dei Pellegrini, alle mani del primo oculista di Napoli, ma aveva perduto l’occhio: all’arsenale non avevano voluto riprenderlo, egli si era acconciato in quell’ufficio di giornale, lavorando dalle otto della mattina sino alle nove della sera, per cinquanta lire il mese. Chiuso dalla mattina in quella stanzetta oscura, dove si accendeva il gas alle tre, seduto sopra un alto seggiolone, innanzi a una grande tavola, con un forbicione in mano, Francesco tagliava le fasce, lentamente, con un moto uniforme, con uno stridío regolare delle forbici. I larghi fogli di carta dove gli indirizzi erano stampati, sotto le cesoie di Francesco diventavano tante strisce piccoline tagliate precisamente, e gli si ammonticchiavano accanto. Più tardi, quando aveva finito, Francesco disponeva le fasce a scaletta, in tanti mucchi bene ordinati, pronti a essere bagnati di gomma, pronti a stringere il giornale nel loro legame. Ric-