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264 il quarto d’ora di rabelais.

del Tribunale, basso, secco, con due baffi spelacchiati sulla bocca meschina.

“Dunque Joanna parte, lascia morire il giornale. E noi che facciamo?” domandò.

“Chi t’ha detto questo?” disse Frati.

“Non so: si dice. L’ho sentito nella sala di lettura a Montecitorio.”

“Chi c’è a Montecitorio?” domandò Stresa, sempre con un piede fuori dell’uscio.

“C’è l’onorevole Sinibaldi, c’è Wood, c’è l’onorevole Caselli.”

Joanna s’accostò alla porta del salotto, e vide quei tre che parlottavano piano, confusamente.

“Ecco Joanna, io filo,” disse Stresa, andandosene.

Riccardo e gli altri due se ne andarono nella stanza di redazione.

“È vero che parlano di me stasera in Roma? Dicono ch’io m’ammazzo,” domandò nettamente Joanna a Palumbo.

“No, disse Palumbo, nè meno per sogno. Dicono invece che ammazzi il giornale, e che te ne vai ad Assab, con un incarico del governo.”

“Ah, sì?” disse Joanna, con un sorriso d’ironia.

“Il corrispondente del Secolo stava anzi per telegrafar questa fola: l’ho fermato in tempo.”