Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
258 | il quarto d’ora di rabelais. |
Malgagno si mise al piano, cominciò a strimpellare un pezzo d’operetta.
Stresa s’accostò a Joanna.
“Senti, ho dovuto dare trenta lire alla mia padrona di casa. Eccoti queste centocinquanta.” Joanna sorrise, bizzarramente.
“Dàlle a Frati: domani avrete bisogno di quattrini, per saziar la fame della stamperia.”
“No no, tienile tu,” disse Frati: “noi provvederemo alla meglio. A te occorreranno pel viaggio.”
“Bene, prendo anche queste: il viatico mi porterà fortuna. Ma non dimenticare di telegrafare a Brancacci, domattina: finisca di mandar l’articolo, avrà i quattrini. A proposito, le prime cartelle non son mica arrivate?”
“Credo di sì,” disse Frati: “aspetta un po’.” E andò nella stanza di redazione.
Bagatti da dieci minuti passeggiava da un capo all’altro del salotto, con la tuba calata sopra un occhio, con la pelliccia sbottonata, terminando a sè stesso, senza emettere altri suoni sensibili che certi grugniti confusi, l’allocuzione furibonda, l’investimento frenetico cominciato contro quelli del Sancio Panza. Ad un tratto, non potendone più, si voltò a Riccardo:
“Joanna, tu cadi vittima de’ tuoi errori.”