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il quarto d’ora di rabelais. 249


“Vai dal tabaccaio in Piazza Colonna, fatti dare un soldo di capsule per fucile.”

Il reduce lo guardò sbalordito, non tanto dal sonno, quanto dalla stranezza della commissione.

“Spicciati: che hai? Non capisci?”

Tornò di là, si pose in tasca la pistola carica a metà, prese con le due mani nel cassetto un fascio di carte, le posò sulla scrivania. Oramai, la febbre finale, il gran delirio della distruzione lo teneva con una ossessione completa. Era una ebbrezza ardente di distruggimento, e insieme un’allegrezza, una consolazione ineffabile di troncare il martirio quotidiano, di perir nella lotta. Era la vanità e la vigliaccheria. Pensava al supremo e tragico bene della insensibilità infinita, alla sensazione finale della morte, all’articolo che l’avrebbe annunziata, il giorno seguente, nell'Uomo che ride. E un desiderio lo prese, una voglia morbosa di giornalista che muore di giornalismo: prese un pezzo di carta e una penna, e scrisse:

“Non voglio che la mia morte sia annunziata da altri che da me. Io muoio col mio giornale, come il capitano con la sua nave. Noi abbiamo lottato gigantescamente con la tempesta, il mio giornale ed io, sul gran mare della pubblica opinione. Quando ho sentito che