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il quarto d’ora di rabelais. 245


“Senti,” disse Joanna, alzandosi dalla sua poltrona e venendo a sedere sopra uno scannetto accanto a Frati: “tu hai una vera stoffa di giornalista: hai il cervello solido, non sei poeta, non hai velleità letterarie, non hai il feticismo dell’aggettivo: tu sarai un gran giornalista. Io ho fede in te. Ti affido L’Uomo che ride.”

Frati balzò su, convulso.

“Se non ti levi quest’idea dal cervello, mi affaccio alle finestre, fo un tal chiasso che fo correre tutta Roma.”

“Che idea? sei matto?” disse Joanna dolcemente, sorridendo.

“L’hai detto fino dal primo giorno, l’hai detto sempre, l’hai detto anche stasera: questa è una follia, tu non la farai,” gridò Frati, eccitandosi rapidamente alle sue stesse parole, correndo alla scrivania e mettendovi su le mani, come per impedire a Joanna di accostarsi al cassetto.

“Ma no, smetti, non aver paura, non mi ammazzerò, sarebbe troppo stupida, e darei gusto ai miei nemici. Lascia pur stare la scrivania, sentimi.”

“Io non mi movo di qua, parla pure,” disse Frati.

“Senti dunque. Noi non possiamo andare più avanti. Il senatore, quello che da principio