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244 il quarto d’ora di rabelais.

e gliela recò. Joanna aveva cercato un sigaro nel cassetto della scrivania, e lo aveva acceso: si mise a leggere il giornale, con una certa attenzione. Frati sedette al tavolinetto, ove di solito lavorava, e cominciò a scrivere un po’ di cronaca per l’edizione di Roma, sugli appunti che il reporter gli aveva lasciati. Dall’alto le tre lampade gittavano tre grandi fiotti di gas. L’ufficio ancora nuovo, ma già pieno di fasci di giornali vecchi e già polverosi, pareva scoppiare per la luce troppo piena. La faccia di Joanna era nascosta dal foglio, ma il fumo usciva dai lati e dall’alto del giornale. Giulio Frati scriveva in fretta: la sua penna correva con rapidità grandissima sui pezzetti di carta lucida. Dall’uno all’altro, nel silenzio, una trasfusione avveniva; il pensiero dell’uno passava nel cervello dell’altro. Il sognatore che aveva travolto l’altro nella sua illusione, e lo spirito pratico e mediocre che gli aveva dato invano, per avverarla, tutta la sua tenace volontà di lavoratore, s’avvicinavano, si tendevano l’uno all’altro, si stringevano unitamente con un vincolo di simpatia, di fraternità, di affetto, tenacissimo.

“Bello il tuo articolo,” disse Riccardo Joanna.

“Ti piace?”