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il quarto d’ora di rabelais. 227


“Me la fai una novella per domenica?”

“Ma che novella! io non ne faccio più novelle. Ci vuole troppa fatica, e non c’è sugo.”

“Dammi una poesia, allora.”

“Ti farò quattro sonetti sui denti della principessa di Santaninfa; quei denti di tigre, sai?”

“Anche tu?” disse Joanna, guardandolo con una tristezza infinita.

“Come anch’io? L’ho vista stamani da Ronzi e Singer, mentre comprava le paste pel suo thè. È divina.”

“So, so,” disse Joanna. “Dunque me li dai questi sonetti?”

“Te li do, ma voglio cinquanta lire subito.”

“Ora non le ho: fammi prima i sonetti.”

“Ciao, allora: mi occorrono subito e vado a farmele dare dall’amministratore del Baiardo.”

“Addio, bambino,” disse Joanna, alzandosi, e di nuovo guardò il poetello con tanta amarezza d’amore, con una tristezza così compassionevole, che costui si avvide di qualche cosa.

“Che hai? E vero che il tuo giornale sta per morire?”

“Questo non lo vedremo nè io, nè tu,” disse vivamente Riccardo; “ma più ti guardo, e più mi sento commuovere; mi sembri mio figlio.”

E s’accostò al tavolo ove pranzava il mi-