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il quarto d’ora di rabelais. 219

cominciò a cadere dal cielo con impeto: Joanna entrò in fretta, strisciando i piedi per asciugarseli sul cemento dell’androne.

In un camerotto piccolo, ov’era la cassa forte dello stabilimento tipografico, Giulio Frati, piccolo, tarchiato, con una capelliera che gli copriva il bavero rialzato del paletot, stava mezzo bocconi sulla prova della prima pagina, correggendo avidamente il suo articolo violentissimo contro Bismarck; e, correggendo, leggeva forte, con enfasi; Bagatti, panneggiato in una immensa pelliccia, col cilindro inclinato sulla tempia destra, col torace vestito d’un gilet di azzurro stellante e gonfio in avanti, ascoltava lisciandosi i mustacchi enormi ed esclamando e ammirando con veemenza meridionale.

“Hai preso tu i denari da Gardini?...” disse Joanna a Frati.

“Sì,” disse Frati sollevandosi un poco dal suo articolo.

“Mi dài cinquanta franchi? Brancacci mi ha telegrafato che li vuole immediatamente.”

“Brancacci aspetterà.”

“Se non glieli mando, non spedisce la fine dell’articolo.”

“Ma io non li ho.”

“Non li hai?” disse Joanna, pallido, stranamente atterrito da questa piccola difficoltà.