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il quarto d’ora di rabelais. 215

che i cilindri d’una macchina tipografica, accanto ad un’altra macchina che versava a fiotti continui un altro giornale più fortunato e più forte girassero anche pel suo! Ecco tutto. I suoi sogni erano svaniti. Egli, Riccardo Joanna, il brillante articolista, il poeta della prosa quotidiana, il cronista mondano e fosforescente, l’istoriografo dei balli e dei concerti, tutto scintillante di aggettivi e di metafore, era schiacciato sotto il peso del suo sogno ambizioso, era soffocato sotto la mole della sua impresa gigantesca, non esisteva più. Da quindici giorni non poteva più scrivere, neppure un articoletto politico pieno di paradossi e di fuoco, neppure una di quelle sfuriate polemiche così impetuose che lo facevano ammirare anche da quelli che non si volevano abbonare all’Uomo che ride. Sopraffatto dalla belva famelica ed urlante ch’egli aveva sguinzagliata, il bell’adoratore del caviale e delle donne aveva smarrito tutti i suoi aggettivi e le sue metafore: uno era il cruccio cocente e divorante che lo affocava, uno era il pensiero che lo aveva abbrancato, una la smania furiosa che lo mangiava; tirare avanti, a forza, ad ogni costo: se no, morire. E a questo fantasma della morte ch’egli chiamava ad ogni tratto, ch’egli avea sin dal principio evocato a sua tutela quando nella