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206 i capelli di sansone.

fuso, turbato, combattuto crudelmente, ora decidendosi a dire tutto, immediatamente, ora sentendosene incapace, debole, avvilito: guardava l’azalea, come assorto.

“Il poeta è innamorato: non parla;” disse ridendo don Pompeo.

“È vero che è innamorato, Joanna? Di me forse?” stridette donna Tecla.

“Obbedisco,” disse lui inchinandosi.

Sì, doveva dirglielo, era necessario, era meglio fare un atto solo di coraggio: don Pompeo era un gentiluomo, certo avrebbe acconsentito. Alla fine che costa una parola? E dopo averla detta si resta liberi per tre mesi: in tre mesi si trovano almeno dieci volte mille lire, si hanno amici, si lavora assai. Sì, sì, valeva meglio dirglielo! Ma don Pompeo era così dimentico, così gran signore, così lontano dagli affari, in quel momento! Ora egli parlava col ministro belga a Roma, forse di cose diplomatiche: non era quello il minuto propizio.

Poi don Pompeo provava a far chiacchierare donna Caterina Spinola, non era cortese interromperlo: Riccardo cercava di restar disinvolto, mentre febbrilmente seguiva con l’occhio ogni movimento di don Pompeo, e dava a sè stesso, a ogni minuto, una nuova dilazione.