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piccolo. 11

nello. Riccardo attraversò l’anticamera senza fermarsi, schiuse una porta, corse a una scrivania e buttò le braccia al collo del padre.

“O papà, o piccolo papà,” ripeteva il bimbo, strofinando la sua guancia contro quella del padre.

Il padre lo baciava, in silenzio, sui capelli, sugli occhi. Per lavorare in ufficio, Paolo Joanna aveva cambiato il soprabito in una giacchetta di lustrino: la faccia aveva una monotona espressione di stanchezza e quasi di ebetismo: il medio e l’indice della mano dritta erano sporchi d’inchiostro sino alla seconda falange.

“Hai mangiato, nino mio?”

“Sì, papà: Marianna mi ha comprato il pollo.”

“Ti è piaciuto?”

“Sì, papà: e tu?”

“Io ho fatto colazione al caffè.”

“Con gli amici tuoi, papà?”

“Sì, nino. Ti sei seccato, a casa?”

“Un poco, papà: ma non importa.”

Peppino, il ragazzo di stamperia, ritto innanzi alla scrivania di Paolo Joanna, teneva sempre le bozze in mano e guardava in aria, seguendo il volo delle mosche. Il giornalista gli prese le bozze e chinò il capo sul tavolino, a lavorare di nuovo. In silenzio Peppino andò