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188 i capelli di sansone.


Andava a casa, era per vestirsi in marsina, poichè doveva andare all’Apollo e in casa Savelli: voleva fare la sua toilette quotidiana di scrittore amato dalle donne, pallido, fantasioso, dagli occhi pregni di sogni, pranzare in una trattoria elegante, e poi farsi trascinare al teatro in carrozza, pensando, fumando. Salì una scaletta del numero settantuno, in Via della Vite, bussò al primo piano a una porticina scura, entrò in una stanzetta fredda e buia. La padrona di casa, ferma sulla soglia, aspettava che egli parlasse.

“Sora Rosa, vi sono camice stirate per la marsina?”

“Sicuro, sor Riccardo, sono qui sul letto, cinque o sei, le ha portate la stiratrice oggi.”

Al lume di una stearica fioca, egli osservò quelle camice insaldate, dure, lucidissime. Una era a fiorellini neri da estate: una aveva il goletto troppo alto, un vero capestro: la terza aveva il goletto arrovesciato, di quelli che non usano più: le due ultime avevano gli orli del goletto e dei polsini sfilacciati, da non mettersi.

“O sora Rosa, nessuna di queste va!”

“Figlio mio, che v’ho da dire? Le camice si sciupano presto, a lavarle e stirarle sempre, con quel lucido che vi mangia la tela....”

“Ma come faccio, io, ora?”