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i capelli di sansone. 145

singhiozzi che scoppiano, lugubri, solitari nel Clair de lune, di Beethoven; nulla diceva Caterina, che tutti chiamavano santa Cecilia, ma dentro doveva tremarle l’anima per una emozione suprema. Macchinalmente, smorto innanzi a quel favore femminile, Riccardo si mise in tasca il giornale e nel giovane cuore, tutto pieno di fantasmi femminili, s’innalzò, sottile, potente, il fantasma tutto vibrante d’armonia di Caterina.

“È venuto il Pierangeli,” disse Gregorio, entrando.

“Ah! e che vuole?”

“È venuto per quel conto di fiori.”

Riccardo fece un gesto di fastidio. Ora, dopo aver spazzato la stanza, Gregorio spolverava i mobili: ma non aveva piumacciolone nè strofinaccio. Tutto torvo, colle sopracciglia aggrottate, soffiava sul piano delle scrivanie e degli scaffali: la polvere si levava da un posto per posarsi altrove; ma Gregorio si riposava ogni tanto, come stanco per tutto quel fiato buttato. La stanza, male illuminata, conservava il suo aspetto impolverato e triste: Riccardo stava ritto, come indeciso, pensando a chi chiedere mille lire per pagare la cambiale l’indomani. Poi, seccato da quelle nuvolettine di polvere che Gregorio andava sollevando, voltò