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122 la grande giornata.

stenza mediocre ma pacifica, gretta forse ma non fallace: lo lasciassero andare, lo lasciassero andare per la sua strada, oscuro, ignorato, come tutti coloro che non seppero o sdegnarono d’imporsi.

Esaltandosi su questo discorso, racchiudendo esso tutta una nobile vendetta, Riccardo si avvicinava al tempo dei suoi esami. Mancavano soltanto quindici giorni, quando il Pompiere, il redattore teatrale, che decisamente aveva preso in simpatia questo educato e taciturno correttore di bozze, gli disse ancora:

“Giovanotto, volete andare al Valle? fanno una commedia nuova, in cinque atti, di autore patrio: e corre una voce molto grave, che sia una commedia a tesi. Tutto questo è più forte di me: del resto, io ho da andare a Napoli. Che Iddio vi assista nella dolorosa prova! Darete gli appunti di cronaca a qualcuno in redazione che li compilerà. Chiederò notizie della vostra salute, al mio ritorno.” E non smentendo un minuto la sua gravità abituale, egli girò sui tacchi e andò via. Riccardo sorrise ironicamente: non era più un bambino come quello di una volta, per commuoversi di un biglietto di teatro. Placidamente lo serbò e non affrettò mica il suo pranzo per andare al Valle: obbedendo a un antico strascico di vanità giorna-