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la grande giornata. 111

rosse o verdi, colorite gaiamente, piccanti. E la sua fantasia viaggiava anche più in là: passando innanzi ai grandi palazzi patrizi, egli indovinava la maestà delle vaste stanze da pranzo, coi loro legni scolpiti, col luccicare vivido dei cristalli e delle argenterie, coi tappeti molli, dove non si udiva il passo dei servitori, coi fiori strascicanti sul candore della tovaglia, col sorriso muto e incoraggiante della padrona di casa. Le trattorie di terz’ordine che era costretto a frequentare, con la loro biancheria dalla dubbia pulizia, dall’odore nauseante di sapone, con le posate di metallo giallo, i piatti grossi e pesanti, con le solite pietanze quotidiane, dai miscugli equivoci, rivoltavano i suoi istinti aristocratici, e mangiava per saziarsi, sempre seccato, incapace di prolungare di un minuto il pranzo, soffrendo di tutto, anche delle mani del cameriere che gli porgevano il piatto e che gli sembravano ignobili. Quando una prima rappresentazione era annunziata, strombazzata, aspettata, e tutti ne parlavano, e quelli che potevano andarvi si consideravano assai fortunati, egli si rodeva di non poterci andare, ricordandosi della sua infanzia e della sua adolescenza, ogni sera al teatro, dappertutto, nei migliori posti, senza spendere un soldo, andando sul palcoscenico dove pochi potevano andare,