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106 la grande giornata.


“Le cose solite, credo,” scappò detto, una volta, a Riccardo, annoiato e impazientito.

Ma uno dei maggiori suoi crucci, il segreto rancore che aveva contro i redattori del Baiardo, era la loro invisibilità. Nessuno veniva mai da lui: e pochissime erano le occasioni di andare nelle altre stanze. Una sera, in tipografia, vide un signore alto e biondo, dalla chioma militarmente tagliata a spazzola, dagli occhi chiari, che parlava col redattore capo, sviluppando un po’ il torace, avanzando un po’ la gamba destra: del resto parco di gesti, signorile, freddo. Chiese il nome al proto: costui era nuovo, non seppe dirgli nulla: ma il piccolo che gli portò la terza pagina da correggere, lo sapeva:

“Quello è il signor Scapoli,” disse andandosene.

Un’altra volta fu peggio. Al caffè un gruppo di ufficiali attorniava un maggiore, un miope dagli occhi vivacissimi, ancora giovane. Distrattamente Riccardo chiese al suo vicino, un reporter di giornale democratico, chi fosse quel maggiore.

“Come? Non lo conosci? Ma se è tuo collega, uno scrittore del Baiardo, dicono che firmi Fucile.”

Queste cose assai lo mortificavano. Trovava