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la grande giornata. 101

vedeva mai i redattori. Il Baiardo continuava ad essere per lui un tempio misterioso, dove si pontificava, recitando le spiritose litanie della politica e dell’arte, da sacerdoti sconosciuti. Al caffè, la sera, gli domandavano:

“Joanna, dicci dunque chi è Molosso?

“Non so.”

“E Stellino, lo sai: chi è Stellino?

“Neppur quello.”

Gli amici restavano scontenti: si seccavano che egli volesse mantenere il segreto, quando la loro più viva curiosità erano appunto quelli pseudonimi, quando le loro più ostinate liti erano per saper chi fosse Neera, un uomo o una donna, per assodare se De Amicis era proprio Furio.

“E tu, come firmi?”

“Non ho deciso ancora.”

“Va là, che non vuoi dirlo!”

Questi tormenti serotini gli facevano odiare il caffè e la gente e tutti: trovava che la punizione della sua bugia era troppo grande. Non sapeva prendere un’aria disinvolta, non voleva inventarne altre delle bugie, anche la prima era stata involontaria. E temeva forte che si scoprisse, che i colleghi del ministero, del caffè appurassero che egli era un misero correttore, un povero muratorello della stampa che met-