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96 la grande giornata.

La lesse con uno sguardo solo: era accettato per correttore, poteva cominciare il suo lavoro dall’indomani. Confusamente egli salutò e andò via, pieno di dolcezza e pieno di amarezza. Ecco, ora si sentiva depresso, abbattuto, dopo i grandi eccitamenti febbrili dei giorni decorsi: e una stanchezza mortale gli spezzava le gambe. Tornò al ministero, salì dal capo divisione, per pregarlo di modificargli l’orario, preferiva andare in ufficio dall’una alle quattro:

“Avete trovato qualche altra occupazione?”

“Sì, signor Commendatore.”

“E di che si tratta?”

“È al giornale Baiardo.”

“Mi congratulo tanto: leggeremo la vostra prosa.”

Riccardo non rispose: solo era un po’ rosso in viso, vergognandosi della bugia che egli accreditava col suo silenzio. Subito, il capo divisione gli accordò il permesso. E in tutto il pomeriggio, a pranzo, al Caffè Cavour, la voce circolò, e tutti gli domandavano, un po’ increduli, un po’ invidiosi:

“È vero che sei al Baiardo?

“Sì,” rispondeva lui, debole, vile, non osando confessare la verità.

Ma il più commosso fu l’impiegato postale. Con l’occhio umido e la voce un po’ tremante,